Arrestato e deportato, rinchiuso nel campo di concentramento “Stalag IV B” di Muhlberg-Elbe in Germania per oltre due anni, tra atroci sofferenze e lavori forzati. Poi la fine della guerra, la liberazione degli alleati e il ritorno alla vita, nella sua Copertino. Questa è la storia di Lucio Vetere, soldato italiano incarcerato dai nazisti dal 1943 al 1945, di cui si onora oggi la memoria insieme ad altri 11 salentini, con la consegna ai familiari della medaglia d’Onore della Repubblica Italiana nella cerimonia ufficiale nel “Salone degli specchi” della Prefettura di Lecce.
Un racconto da libri di storia la vita del copertinese Vetere, che squarcia la tranquillità del presente riportando agli orrori del passato. Lucio purtroppo non c’è più, ogni ricordo tramandato vien fuori dalla voce singhiozzante ed emozionata della figlia secondogenita Mirella, che in questi anni con l’aiuto del figlio Gianluca ha raccolto aneddoti e dati per poter ricostruire la vicenda.
“Non è semplice raccontare questa storia terribile, così come non lo era per mio padre, ogni volta che provava a ricordare quanto aveva vissuto – ammette Mirella Vetere. Nel 1943 l’Europa intera era in guerra, attanagliata dall’ideologia nazista e dalla paura. Mio padre appena 19enne fu chiamato alle armi e dovette abbandonare Copertino – spiega la donna. Quella partenza fu dolorosa, ai suoi genitori e a mia madre, che all’epoca era la fidanzata, preoccupava e dava l’impressione di un addio”. Vetere dalla Puglia raggiunse prima Trieste e poi la Grecia, dove venne incarcerato dai nazisti. “Mio padre dopo un lungo viaggio arrivò nella città di Larissa per partecipare alle operazioni di guerra con l’esercito Italiano. Successivamente con l’armistizio Badoglio l’Italia passò con gli Alleati. Quindi pochi giorni dopo – racconta la donna – i soldati della Wermacht tedesca, che pretendevano di inserire gli italiani nelle truppe naziste della Repubblica sociale Italiana arrestarono tutti i militari che si rifiutarono di servire il governo del “Terzo Reich”. Da quel momento papà venne rinchiuso, non si seppe più nulla e furono due anni terribili – prosegue Mirella. Nessuna notizia o comunicazione giungeva più a casa, in paese si era sparsa la voce che mio padre avesse pagato con la vita il diniego ai nazisti. Solo dopo venimmo a sapere di alcune lettere mai recapitate, delle sole bucce di patate di cui si cibavano o dei lavori forzati a cui erano sottoposti”.
Nel 1945 finalmente la guerra finì e Lucio Vetere, sopravvissuto, fu liberato. “I soldati del campo di prigionia di Muhlberg furono salvati dalle forze alleate e mio padre così poté fare ritorno a casa. Arrivò a Lecce e poi a piedi sino a Copertino dagli affetti più cari e una vita nuova”. Ricordi che Lucio Vetere non ha mai nascosto in famiglia, tra tanto dolore e il pensiero ricorrente della sua casacca col numero di prigioniero 257926. “Sino alla sua morte, mio padre seppur con grande sofferenza – sottolinea Mirella Vetere - ha ricordato a tutti gli orrori di quegli anni affinché non si perpetrassero in futuro”.