Bisogna conoscere il passato per preparare il futuro. Il passato di Carmiano è stato oggetto di diverse ricerche storiche. Si è cercato di dare un volto, un’identità ad una comunità che ha attraversato cinque-sei secoli di storia conservando pochissime tracce del suo passato. Carmiano è uno dei pochi paesi del Salento che ha distrutto quasi interamente il suo centro storico, a partire dalla sua chiesa parrocchiale cinquecentesca e dei suoi quattro rioni intitolati alle famiglie più antiche. Sono sopravvissuti solo la chiesa dell’Immacolata e il palazzo semi diruto dei padri Celestini di Santa Croce di Lecce, signori per quattro secoli del feudo e in buona sostanza fondatori dell’odierno paese. A considerare questa sistematica demolizione, iniziata in pieno Ottocento e completata un secolo dopo, Carmiano sembra aver perso la sua originaria identità, divenendo agli occhi degli stessi suoi abitanti un paese “senza storia”, senza cioè un passato visibile a cui aggrapparsi per costruire il suo futuro. Chi visita oggi Carmiano cerca una piazza (l’antica agorà) senza mai trovarla, un reperto archeologico significativo senza conoscere dove è custodito, una remota presenza umana (attestata dallo stesso nome del paese) ma non ancora suffragata da una documentazione certa e inoppugnabile. Il paese è finito in un vicolo cieco, la cui oscurità permane non solo a livello di indagine storica ma anche sul piano prospettico nel senso cioè che è difficile per un attento osservatore immaginare quale sarà il suo futuro.
Su questo giornale ho già scritto un pezzo intitolandolo provocatoriamente “Carmiano sopravviverà al 2050” cercando di argomentare il disordinato sviluppo urbanistico che non promette nulla di buono per il futuro. Il paese è cresciuto senza un piano regolatore, con logiche pervasive di abusivismo che seppure sanato per via normativa non lo ha affatto affrancato da un destino irrimediabilmente compromesso. Oggi Carmiano appare un confuso agglomerato di case, costruzioni messe le une accanto all’altre senza una chiara e razionale finalità, ma con il solo obiettivo di cementificare i residuali spazi disponibili. Agli occhi di un forestiero il paese sembra soffocare dentro un confine urbano troppo stretto per assicurare un’agibilità ed una vivibilità adeguata alla popolazione residente. Difficile venirne a capo in tempi brevi. Ci vorrebbe un ambizioso e coraggioso piano di risistemazione del territorio per correggere (o almeno contenere) le storture edilizie messe in atto. Come quello perseguito e realizzato (unico nella storia del paese) nel corso del ‘600, periodo in cui non vi erano né ingegneri né architetti, ma mastri artigiani come amministratori i quali di fronte all’esplosione demografica dell’antico nucleo urbano (pozzo del casale) disegnarono le nuove direzioni di sviluppo edilizio inventando il rione Gagliardina con strade ben squadrate, che oggi appaiono forse strette per le macchine e i trattori, ma che allora servivano per far circolare in tutta sicurezza traini e carrozze. Da tempo il paese attende altri amministratori illuminati che sappiano con scelte oculate ridare alla comunità residente quello che effettivamente manca, larghi spazi di verde e ossigeno in abbondanza per rendere il paese vivibile e in prospettiva attrattivo per chi vuole continuare e/o ritornare a vivere.
Come è noto Carmiano occupa nella provincia gli ultimi posti per il verde pubblico. Non è un dato da vantare e divulgare, ma a questo ritardo si può rimediare con una politica che sappia in maniera anche graduale elaborare un piano di interventi mirati. Partendo però da una preliminare considerazione sul ruolo esercitato dal paese ora come ora. Diversamente da altri paesi limitrofi, come Leverano, Veglie, Copertino, che hanno già acquisito una chiara connotazione urbana nel settore dello sviluppo economico-sociale, Carmiano si è progressivamente tipologizzato come “paese dormitorio”, senza una chiara identità produttiva, sopravvivendo sostanzialmente al declino per l’apporto determinante fornito dal mondo delle professioni liberali (avvocati, medici, e altri) che ruotano sul capoluogo, da una larga schiera di insegnanti il cui perimento d’azione abbraccia tutta la provincia, da un terziario abbastanza diffuso nelle istituzioni pubbliche e soprattutto da una consistente presenza di pensionati che hanno scelto, nonostante le sirene dei figli che li reclamano, di restare a vivere nelle loro case costruite con tanti sacrifici. In buona sostanza Carmiano si sta lentamente avviando a diventare un paese con pochi giovani e pochissime nascite. Fra due mesi il paese sarà anche privo di pediatri. I giovani attrezzati di titoli di studio cercano altrove il loro futuro, spesso formandosi una famiglia lontano dal luogo natio; altri giovani, pur non dotati di specialismi avanzati, seguono la stessa strada per sbarcare il lunario. La desertificazione residenziale al momento sembra attutita dall’apporto migratorio esterno (indispensabile soprattutto nel settore dell’assistenza agli anziani), ma nei prossimi decenni è destinata ad aggravarsi per le politiche governative messe in atto. Il declino demografico sarà inevitabile. Carmiano potrebbe non essere attrattivo neppure ai carmianesi che ora lo abitano. Per scongiurare questa deriva è necessario ripensare il paese in maniera diversa da come è stato costruito nel recente passato, attrezzarlo diffusamente di quei polmoni di verde mancanti per renderlo più vivibile ed accogliente. Un paese con queste nuove caratteristiche potrebbe esercitare un ruolo diverso da quello attuale, aprirsi ad una nuova e più larga fruizione che serva anche a decongestionare l’affollamento estivo della vicina costa di Porto Cesareo. Se il mare è considerato la risorsa più importante del terzo millennio per l’intero Salento, Carmiano potrebbe proporsi come centro di supporto di un’economia turistica in espansione e diventare in pochi lustri una meta gradita anche per i tanti forestieri che amano il nostro mare ma che scelgono di godersi l’entroterra evitando il soffocamento ambientale delle marine.
Mario Spedicato