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Giovedì, 02 Maggio 2019 13:15

Game of Thrones 8: "La lunga notte"

Nel terzo episodio di GOT, intitolato “La lunga Notte”, andato in onda lunedì 29 aprile a partire dalle 22.00, la tanto attesa conta dei morti è stata presto fatta.

Non fraintendete! Certo che di morti ne abbiamo visti a migliaia, ma, per fortuna, non sono tutti i morti che ci saremmo aspettati. Ovviamente un commiato speciale a Lady Lyanna Mormont, un mito in vita e anche in morte!

“Episodio epico” è stato definito dalla maggior parte delle testate specialistiche mondiali che lo hanno commentato in quasi tutte le lingue e dal mio punto di vista, permettetemi di dirlo, lo è realmente. Ogni aspetto, anche la colonna sonora del compositore iraniano Ramin Djawidi ha contribuito a renderlo tale.

Chi ha analizzato la puntata dal punto di vista tecnico (mi dispiace per quei fans che non hanno gradito il buio, ma, consentitemelo, non avrebbe avuto senso girare nella luce un episodio intitolato La lunga notte) ha parlato di estremo realismo delle scene. Io aggiungerei, anzi affiancherei a ciò, un simbolismo squisitamente velato e ricercato. (Bellissima la scena dei dotraki che cavalcano con le spade infuocate contro i morti e la vista di queste fiammelle che si spengono ad una ad una, come a dire che neanche la forza e la vitalità della giovinezza possono nulla contro la morte.)

Amo da sempre il cinema in tutte le sue forme ed espressioni, amo da sempre i generi fantasy e l’horror, amo la trasposizione televisiva della Storia, raccontata in tutte le sue epoche e per questo, dopo aver fagocitato negli anni battaglie su battaglie, penso che Miguel Sapochnik, il regista, abbia dato prova di eccellente valore artistico. Del resto, La battaglia dei bastardi ne era già stato una evidente prova. Inoltre, c’è chi, nel guardare un prodotto cinematografico (film, documentari, Serie etc.) non considera, o magari non sa, che il rapporto tra la realizzazione delle immagini dalla Regia e la scrittura della Sceneggiatura passa attraverso un durissimo lavoro di amalgama. Undici settimane di duro lavoro hanno portato alla realizzazione di circa 80 minuti di perfetto equilibrio narrativo, dando vita ad un survival horror come lo ha definito Bryan Cogman, che ne ha curato la sceneggiatura. Più di 750 comparse hanno lavorato insieme, nel buio, guidate da un visionario Saponichnik che ha saputo trasmettere attraverso le sue scelte quel senso di caos, di angoscia e di sopraffazione, quella attesa tormentante, quello sbigottimento atterrito che proveremmo se si verificasse un evento del genere. Spettacolari gli effetti con i draghi: le iperboli volteggianti e leggere al chiaro di luna e sopra le nuvole; il loro sputare fuoco sulla terra come se fosse una di quelle scene che vediamo tutti i giorni; la battaglia in sospensione con questi due esseri magnificenti che si attorcigliano, si mordono, si rincorrono.

Tutto ci ha condotto magistralmente alla scena clou della puntata: Arya, uno spiffero nella notte nera, un movimento di sguardi e un pugnale affondato nel ventre del Male.

Evviva!! Tutti abbiamo esultato: Evviva!!

Emanuela D'Arpa

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Giovedì, 02 Maggio 2019 13:06

Game of Thrones 8: seconda puntata

Due settimane da cardiopalmo, quelle che ci hanno visto alle prese con i nuovi episodi di GOT. Emozioni a non finire e sentimenti, anche contrastanti, ci hanno “sospeso il cuore”, immergendoci in uno scombussolamento emotivo niente male. Empatia, compartecipazione, entusiasmo, amore, amicizia, dovere ma anche disillusione, angoscia, timore, paura e ancora sorpresa, sollievo, e di nuovo dolore, senso della disfatta, dell’abbandono, della fine: ecco l’altalena di stati d’animo che questi due episodi hanno saputo offrire ai milioni di persone che li hanno seguiti.

Iniziamo dal secondo episodio mentre il terzo lo approfondiremo nel successivo articolo.

Il suo titolo originale è A Knight of seven Kindom (Un cavaliere dei sette regni). La sceneggiatura della puntata è di Bryan Cogman mentre la regia è affidata a David Nutter. Questo episodio lo definirei pensato e scritto per i veri sentimentali. Si tratta, infatti, di una sceneggiatura impostata tutta in interno, dai toni pacati e quasi di boccaccesca ispirazione. Un gruppo di persone, (alquanto folto, direi) in attesa della morte, si riunisce all’interno di un castello e cerca il coraggio per affrontare il pericolo imminente, raccontandosi. Ed è così che questi uomini affrontano l’idea della morte, superando se stessi e le loro individualità, aprendosi agli altri e svelando i propri limiti, cercando conforto e calore in chi hanno amato, scusandosi con chi hanno odiato dal profondo, mostrandosi agli occhi degli spettatori come quello che realmente sono: il modello dell’uomo comune, quello autentico, quello che impara dalle lezioni che la vita gli dà. Nel ritmo narrativo, l’apice emotivo è raggiunto, a mio parare, nel momento in cui Lady Brienne viene investita del titolo di cavaliere dei sette regni (non a caso questa sequenza dà il titolo all’episodio). Si tratta di una delle scene di impostazione cavalleresca più intense che abbia mai visto: l’investitura arriva inaspettata, nasce quasi da una burla, ma è un gesto di amore sincero (Jaime qui raggiunge il culmine dell’evoluzione positiva del suo personaggio). Si tratta di un amore platonico e per questo nutrito dai più alti ideali di purezza; un amore che nasce dalla conoscenza reciproca profonda, dalla stima, dal rispetto; un amore che eleva non solo una donna al rango di cavaliere (è la prima volta nella storia di Westeros) ma che riscatta totalmente un uomo da un passato vissuto senza amore vero.

Oddio ragazzi!! E’ troppo romantico???? No, ci sta, ci sta! Prima del racconto della grande battaglia de “La Lunga Notte” ci sta!

Emanuela D’Arpa

Published in Rubriche
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