Carmiano è un paese relativamente giovane. Ha poco meno di 600 anni. Non può vantare origini più antiche e men che meno alcuna discendenza messapica (con i primi abitanti del Salento). Non può neppure, come è stato ipotizzato dalla storiografia municipale ottocentesca, essere considerato un insediamento di origine romana, sebbene il toponimo, riferito però ad un territorio più vasto, sia nato proprio nel periodo dell’espansionismo mediorientale della città eterna. Il toponimo carmianensis sopravvive a lungo e lo si ritrova nei documenti medioevali preceduto dal termine Saltus (formando la dizione Saltus carmianensis) per indicare un’ampia zona forestale a nord-ovest di Lecce, oggi grosso modo comparabile con la Valle della Cupa. Il toponimo carmianensis tuttavia non si è mai identificato con un centro abitato, pur rimanendo nell’ager di Magliano labili tracce di un’officina di fabbricazione di anfore in epoca imperiale. Almeno fino ai primi decenni del XV secolo il territorio di Carmiano viene classificato nelle carte superstiti come un feudo disabitato cioè senza la presenza di uomini. Il casale con una comunità propria nasce solo con l’acquisizione del feudo da parte dei Celestini di Santa Croce di Lecce ovvero da metà Quattrocento in poi.
E’ interesse dei nuovi feudatari popolarlo per renderlo produttivo. Da qui la scelta di ricorrere ad incentivi per richiamare i primi abitanti ad insediarsi in un territorio ostile, infestato dai lupi e da un paesaggio prevalentemente boschivo, poco adatto all’agricoltura. Si procede in maniera graduale ma lenta: per un verso viene avviato il disboscamento e la messa a coltura del territorio e per l’altro si cerca di contenere la devastazione dei lupi sul raccolto con una taglia in denaro su ogni lupo ucciso. Ci vuole più di un secolo per ottenere qualche significativo risultato e perché il casale possa acquisire un’inconfondibile connotazione identitaria. Carmiano, in poche parole, si riconosce pienamente come comunità solo a partire dalla costruzione della chiesa parrocchiale nel 1560, quando appunto si registra il più importante decollo demografico e, con esso, la funzionalità dei poteri locali di antico regime (ovvero la feudalità rappresentata dai Celestini, la chiesa dal Capitolo della Matrice e l’universitas civium dall’amministrazione civica). Questo ritrovato profilo identitario consente di accertare l’esistenza di un DNA attribuibile al carmianese doc?
Facciamo un passo indietro. A metà Quattrocento a Carmiano risultano stabilmente insediate 13 famiglie. Non conosciamo la loro provenienza. Dopo qualche decennio tuttavia si possono individuare le famiglie predominanti con la nascita dei primi rioni intorno al pozzo del casale, rioni che assumono la denominazione di isole dei Meliteni, dei Franchi e dei Gratiani, veri e propri clan familiari allargati che oscurano gli altri abitanti che in misura diversa completano il quadro comunitario. Nel primo Cinquecento un significativo apporto demografico al casale viene fornito dal forzato esodo degli albanesi, costretti a lasciare la loro terra occupata dai Turchi, dopo la vana resistenza opposta dal loro condottiero cristiano, Giorgio Scandeberg. A Carmiano Il ceppo genetico albanese resisterà all’estinzione fino ai nostri giorni. Non così per i Meliteni, che dopo aver assunto una posizione di forza all’interno del paese, esprimendo diversi parroci e sindaci, vengono gradualmente a perdere consistenza numerica fino a scomparire del tutto. I Franchi e i Gratiani durano più a lungo (i cognomi Franco e Graziano esistono ancora oggi), ma si mescolano con altre famiglie (Scardia, Melcaro, Riello, Puscio, De Simone, Casilli, Monte, ecc.) sino a perdere la loro originaria identità.
A fine Cinquecento i Franchi risultano la famiglia più potente del paese, sostituendo i Meliteni in declino. Essi occupano le maggiori cariche comunitarie (parroco e sindaco) per un periodo non breve, ma il casale non è più quello di un secolo prima, avendo nel frattempo per iniziativa dei Celestini richiamato altre famiglie forestiere ad insediarsi nel loro feudo. L’incremento demografico di Carmiano tocca il suo punto più alto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, passando da 400 a quasi 600 abitanti, arrivando e superando nel primo Settecento le 700 unità per poi entrare in una fase stagnante sino a perdere vitalità. Come spiegare questa paralisi demografica?
Due sono, in buona sostanza, i motivi che rendono asfittico il processo demografico a Carmiano. Il primo è riconducibile al “mercato matrimoniale” espresso da uomini e donne in età fertile ma con vincoli stretti di parentela; il secondo, dipendente dal primo, legato al divieto da parte della Chiesa di far contrarre matrimonio a nubendi fino al quarto grado di consanguineità. Regole rigide che vengono però trasgredite con il ricorso ad espedienti di cristallizzata memoria popolare (gli sposi “fuggitivi” che mettono di fronte al fatto compiuto le rispettive famiglie, ma che vengono esemplarmente puniti con il matrimonio riparatore celebrato in forma clandestina di primo mattino, senza pubblico, dopo una notte passata da penitenti in ginocchioni davanti al portone della chiesa). Carmiano non può crescere sul piano demografico se non si apre all’apporto esterno, se non accoglie cioè donne e uomini forestieri che evitino le combinazioni matrimoniali tra consanguinei proibite dalla Chiesa. Un fenomeno che interessa una pluralità di soggetti e che attraversa l’intera esistenza plurisecolare del casale, con un’inclusione a vasto raggio (da pochi fino ad un massimo di 400 Km di distanza) e con contaminazioni genetiche che investono diverse etnie. Attraverso l’anagrafe parrocchiale e in modo particolare i registri matrimoniali conservati nella chiesa matrice si può misurare il livello di mescolanza etnica. A Carmiano alle originarie famiglie già segnalate se ne aggiungono via via altre di provenienza esterna, arricchendo e differenziando il quadro insediativo. Si trovano ceppi di albanesi (come gli Schipa, i Mirto, i Petrelli, gli Albanese, ecc.), di zingari che scelgono la stanzialità (come Bevilacqua, D’Amato, De Matteis, De Pascalis, De Marco, Russo, Zimbalo, ecc.), di greco-bizantini (Greco, Mazzotta, Cuna, Santoro, Politi, Ianne,ecc.), di schiavi riscattati di pelle eterogenea che prendono il cognome del loro padrone (Durante, Guarino, Lubelli, Perulli, ecc.), di provenienza giannizzera (Spedicati, Spedicato, Levante, Rollo, ecc.), di etnia spagnola-portoghese (riconducibili ai cognomi Spagnolo, Portoghese, Perez, Falces, Barbosa, Fonseca, ecc.) di ebrei convertiti (Potenza, Barletta, Taranto, Brindisi, Cosenza, Catanzaro, ecc.) e di altre etnie tipologizzate geograficamente (Bergamo, Napoli, Romano, Fiorentino, Calabrese, Conversano, Arnesano, ecc.), trascurando quelle di diversa e frammentata origine. Un intreccio di famiglie sempre più esteso che mescola in maniera massiva la popolazione di Carmiano fino a caratterizzarla in via definitiva come meticciata. E’ davvero complicato dopo 6 secoli, durante i quali si sono avvicendati diversi gruppi etnici (spesso senza che essi rinuncino alle loro differenti culture e tradizioni), riuscire a stabilire l’identificazione dei caratteri autoctoni di un paese e trovare ancora “il carmianese doc”.
Mario Spedicato