A Carmiano il primo censimento della popolazione residente di cui resta traccia documentaria risale a metà circa del XV secolo. Vengono segnalate 13 famiglie ma non riportate le loro generalità. Solo alla fine del secolo quando ormai il primitivo nucleo urbano si accresce sensibilmente di numero si possono individuare alcune famiglie dominanti. Essendo un centro abitato prevalentemente da contadini poveri, in larghissima parte provenienti da altre zone, la scalata sociale avviene attraverso la strada del sacerdozio. Una scelta che consente non solo di emanciparsi dalla miseria, ma anche di civilizzarsi ossia di distinguersi per livello culturale dall’insieme della popolazione analfabeta. La prima famiglia che emerge da questo indistinto microcosmo comunitario è quella dei Meliteno, che esprime i primi parroci del paese e si rende protagonista della costruzione della nuova chiesa parrocchiale, di piena obbedienza romana eretta nel 1560 (ora cancellata dall’insipienza amministrativa). Quando la chiesa-madre diventa operativa i Meliteno scoprono la concorrenza di altre due famiglie, dei Melcaro e dei Franco, che si contendono il potere civile ed ecclesiastico ricoprendo per un periodo non breve le cariche di sindaco e di arciprete. L’accresciuto potere spinge queste famiglie ad uscire dal primitivo centro storico, quello denominato Pozzo dello Casale, per formare delle isole insediative autonome (una sorta di rioni o meglio di corti domestiche per ospitare una famiglia allargata). Nascono così durante il XVI secolo le isole dei Meliteni, dei Franchi e dei Melcari. Già a fine Cinquecento sopravvive solo la famiglia Franco, che deve contendersi il potere locale non più con le vecchie famiglie dei Meliteno e dei Melcaro, ormai declinanti, ma con altre più agguerrite come quelle dei Gratiano e poi degli Scardia. All’inizio del XVII secolo con una popolazione che supera i 600 abitanti si registra un rimescolamento nelle compagini domestiche e la famiglia dominante dei Franco viene insidiata da altri nuclei emergenti che scelgono la competizione sul terreno collaudato del potere ecclesiastico ed amministrativo. I Franco riescono a conservare il dominio comunitario fin oltre la metà del ‘600 non perdendo mai il controllo della parrocchia e avvicendando propri esponenti alla guida dell’amministrazione civica. I Gratiano e gli Scardia, pur in forte ascesa, si accontentano di emulare i Franco nella costruzione di una loro isola autonoma, ma non trovano alcuno spazio per contendere il potere locale, saldamente nelle mani dei Franco per oltre un settantennio. Carmiano resta a lungo appesa al volere di questa potente famiglia che impone il suo dominio con inusitata arroganza. A partire tuttavia dai primi decenni del Seicento si fanno avanti prima timidamente e poi con crescente coraggio tentando di spezzare il predominio assoluto dei Franco le famiglie Provenzano, Casilli, Falli, Arnesano, Lecciso, Paladini e Monte (o De Monte). Bisogna però attendere la seconda metà del secolo perché i vecchi rapporti di forza mutino realmente. Sono i Casilli che per primi subentrano ai Franco alla guida della parrocchia e per trascinamento alla carica di sindaco. I Casilli scoprono quasi subito di avere una forte concorrenza nella famiglia De Monte, che già tra la fine Seicento e il primo Settecento risulta esercitare il potere locale in maniera incontrastata. I De Monte chiudono un’epoca, che vede una competizione ristretta a poche famiglie, legata per un verso ad un asfittico quadro demografico e per l’altro ad un accresciuto patrimonio della chiesa locale in seguito alla drammatica crisi del Seicento con l’istituzione di numerosi legati ad pias causas (conseguente all’aumento della domanda di servizi religiosi per il numero esorbitante di messe in suffragio), la cui titolarità è contesa dalle nuove famiglie emergenti, lotta che segna il percorso di ascesa sociale di alcune di queste, tra cui, oltre quella dei Casilli e dei De Monte, anche di altre riconducibili agli Albanese, Mieli , Lecciso, Provenzano, D’Agostino, Arnesano, Paladini e Sozzo.
Con il Settecento cambia progressivamente lo scenario del secolo precedente. I processi di secolarizzazione non risparmiano neppure comunità periferiche come quella di Carmiano, il cui clero privato dei privilegi fiscali è soggetto ad un ridimensionamento significativo. Si passa da 23 preti che servono la parrocchia all’inizio del Settecento a 9 alla fine del secolo, con un vistoso decremento nonostante un sensibile aumento della popolazione residente. La scelta sacerdotale finisce per diventare sempre meno attrattiva anche per quelle famiglie che mirano a civilizzarsi con gli studi in seminario. Lecce, prima ancora di Napoli, offre opportunità ad ampio spettro con le sue scuole pubbliche nate sulle ceneri di quelle degli Ordini religiosi e soprattutto di quella dei Gesuiti espulsi dal regno nel 1767. Nella parrocchia carmianese si assiste ad avvicendamenti non conflittuali che vede alla guida della chiesa locale parroci miti e culturalmente preparati (vincitori della carica di archipresbiter per concorso) come Giuseppe Mieli per lungo tempo e Vincenzo Leopizzi per un periodo più breve, entrambi espressione di famiglie insediate nel paese in tempi piuttosto recenti e non legate alle tradizionali lotte di potere locale, così come quelle vissute dai loro predecessori. La chiesa non si presta più, come nel passato, ad essere unico strumento per l’ascesa sociale delle famiglie più in vista.
Far parte del corpo ecclesiastico fornisce ancora prestigio, ma non più favori e privilegi. Non è un caso che la famiglia locale più importante del secondo Settecento emerga al di fuori delle dinamiche di sacrestia ed è espressa dal mondo delle professioni liberali. Si tratta della famiglia Miglietta, da poco trasferitasi a Carmiano, che ha come riferimento un notaio, Francesco Cesareo, capostipite di un nucleo domestico che segna positivamente la storia del paese. Altri notai prima di lui, come Donato Gravili e Eustachio Inguscio, seguono la via in sacris per i loro figli, ma senza lasciare tracce durature delle loro fortune economiche. Francesco Cesareo invece, pur non rinunciando ad istradare un figlio verso la carriera ecclesiastica, decide di veicolare il più promettente, Antonio, a formarsi presso le scuole pubbliche di Lecce e a completare gli studi in medicina presso l’università di Napoli. Antonio Miglietta diventa un grande scienziato, unico vanto di un paese di contadini rimasto a lungo anonimo. La biografia del Miglietta stride con il conformismo dei suoi concittadini. Da giovane laureato decide di tornare a Lecce, pur avendo vinto il posto di titolare presso l’ospedale S. Giacomo di Napoli. Dal 1790 insegna medicina presso il liceo leccese, partecipando attivamente alla vita pubblica cittadina e aderendo senza alcuna esitazione ai moti rivoluzionari antiborbonici del 1799. Fervente giacobino (termine equivalente a quello di “comunista” dei nostri tempi) si segnala come protagonista dell’erezione dell’albero della libertà nella piazza di Lecce. Accusato di cospirazione viene processato e condannato a due anni di prigione, che sconta nelle carceri del castello di Carlo V. Nel 1801 in seguito all’Indulto decide di trasferirsi a Napoli, dove associa all’insegnamento universitario la pratica vaccinica per debellare il vaiolo, svolgendo fino alla morte, avvenuta nel 1827, un’opera meritoria nel campo della prevenzione che lo consacrerà come insigne scienziato a livello europeo.
Nella prima metà dell’Ottocento il rimescolamento sociale a Carmiano si rivela più intenso dopo le riforme francesi del Decennio (1806-15) che aboliscono la feudalità e sopprimono gli ordini religiosi possidenti alienando i loro patrimoni. Carmiano come feudo ecclesiastico in mano alla signoria dei Celestini si presenta come una grande opportunità per acquisire a bassi costi la vendita frettolosa di questi beni. Calano nel paese molte famiglie leccesi (Libertini, Porretti, Foscarini, Massari, Foggetti, Coppola, Magli, Andrioli, Bitonti, Gustapane, ecc.) che con l’acquisto di ampi latifondi formano la classe sociale dei “galantuomini”,la nuova borghesia agraria protagonista della vita cittadina e dell’amministrazione civica fin oltre l’unità d’Italia. La parrocchia locale nello stesso periodo viene governata per oltre quarant’anni (1813-56) da un prete forestiero, Pasquale Parlangeli, originario di Novoli con un capitolo molto ridotto di preti locali, tra i quali spiccano ancora i rappresentanti delle vecchie famiglie dei Paladini, Lecciso, Graziano, Arnesano e Mieli.
Mario Spedicato