L’identità di un paese si costruisce quasi sempre con l’immagine della sua chiesa più importante. Carmiano ha colpevolmente cancellato nel 1961 l’antica chiesa matrice, perdendo in maniera irrimediabile questo riferimento identitario. Nel panorama salentino è uno dei pochi centri che ha perso il suo primitivo volto. Per un verso fa rabbia, per un altro fa tristezza, ma basterebbe questo solo evento per giudicare l’inadeguatezza della classe dirigente che ha governato il paese negli anni successivi al secondo dopoguerra.
La storia di Carmiano non è possibile raccontarla con una passeggiata nel vecchio agglomerato urbano. Non esiste più il centro storico formatosi nel Cinquecento, l’antica piazza è stata spazzata via per fare posto ad un anonimo incrocio viario, anche le vecchie “curti” sopravvissute all’incuria sono state rimodulate senza alcuna tutela sul piano conservativo, il rifacimento edilizio privo di senso su manufatti d’epoca ha finito per distruggere tutte le più significative tracce del passato, in modo particolare quelle architettonicamente e storicamente rilevanti, ancora custodite fino ai primi decenni del Novecento. Si sono salvate da questo scempio la chiesa dell’Immacolata e, ma solo in parte, il palazzo baronale dei padri Celestini di Santa Croce, anch’esso soggetto a ripetuti adattamenti edilizi che ne hanno alterato l’originario impianto, un accanimento che è continuato fino ai giorni nostri senza trovare una dignitosa e definitiva soluzione, sospesa in attesa di essere chiarita per l’esorbitante richiesta di un privato nei confronti del Comune, nuovo proprietario della struttura, per lavori di consolidamento statico effettuati negli anni appena trascorsi (spero con l’esplicita approvazione e il diretto controllo della sovraintendenza BB.AA., trattandosi di un bene architettonico vincolato).
Per ricostruire le vicende storiche di Carmiano dobbiamo solo affidarci alle carte superstiti conservate negli archivi e a poco altro. Il primo dato che emerge dalla consultazione di queste carte è quello che il paese sin dalla sua nascita si rivela una comunità multietnica, formata dal mescolamento progressivo di forestieri di diversa provenienza, tra cui albanesi, slavi, giannizzeri, greco-bizantini, zingari-girovaghi e via via di altre parti della penisola (veneziani, genovesi, napoletani e di altre etnie, non ultima quella spagnola dominate per oltre tre secoli) con l’aggiunta crescente di una presenza indigena del territorio circostante. I Celestini sono molto attivi nel popolamento del loro feudo e all’inizio cercano di veicolare risorse umane in fuga dalla minaccia ottomana, favorendo anche il riscatto di schiavi cristiani caduti nelle loro mani. Paradossalmente nel primo secolo di vita del casale i cristiani di religione ortodossa risultano ancora in larga maggioranza, finendo per far sopravvivere nella quattrocentesca chiesa curata di San Giovanni Battista le funzioni liturgiche orientali.
I Celestini si avvedono con ritardo degli approdi indesiderati della loro politica migratoria e cercano di porre rimedio, spingendo slavi e albanesi verso i nuovi agglomerati (in tutto nove) del tarantino, nati per ospitare esclusivamente i transfughi dell’altra sponda dell’Adriatico, selezionando con maggiore attenzione il flusso insediativo interno e collaborando intensamente con il vescovo di Lecce al fine di ripristinare estensivamente il controllo romano sull’intero territorio di loro pertinenza. Una strada che nel Quattrocento si presenta ancora stretta, ma che si allarga notevolmente nel primo Cinquecento, quando i padri di Santa Croce decidono di destinare risorse per la costruzione del loro palazzo baronale e di porre in essere altri incentivi per la costruzione della nuova chiesa matrice.
La nuova chiesa matrice (che ingloba l’antica chiesa curata di S. Giovanni Battista) viene inaugurata nel 1560, tre anni prima della chiusura del Concilio di Trento, pronta ad esercitare un ruolo centrale nella vita della comunità. L’edificio sacro viene realizzato con il concorso collettivo della popolazione locale. La chiesa nasce di patronato comunale, con uno statuto ricettizio, cioè con una massa di beni vincolati al solo sostentamento del clero e dei chierici nativi di Carmiano. La sua intitolazione non è casuale. Dedicando la nuova struttura religiosa a S. Maria Assunta in quel periodo significa che il luogo in cui sorge è stato pienamente latinizzato, assoggettato cioè in via definitiva al controllo della chiesa romana. Da allora i riti della religione ortodossa vengono banditi e del tutto oscurati nella nuova parrocchia, anche se il celibato sacro imposto dalle disposizioni conciliari tridentine non viene rigidamente osservato, scontando un non breve periodo di rodaggio dovuto al persistere della tradizione orientale (con i preti che possono legittimamente prendere moglie) in un Salento che aveva guardato per lungo tempo più a Bisanzio e meno a Roma.
La nuova chiesa matrice diventa il luogo elettivo nelle vicende comunitarie, segnando le diverse fasi della vita degli abitanti. Il primo atto di nascita con il battesimo e l’ultimo, quello della morte, con la sepoltura, avvengono in chiesa. Si inizia e si finisce di vivere nello stesso edificio sacro. Nella parrocchia inoltre si svolgono le funzioni di affiliazione religiosa intermedie, legate alla prima confessione e comunione, alla cresima e al matrimonio. Nei periodi di difficoltà esistenziali la parrocchia fornisce conforto e assistenza, affidando gli afflitti alla protezione celeste. In antico regime Il luogo sacro nell’imaginario collettivo è vissuto come fuga dal quotidiano con i suoi riti ebdomadari, le processioni dei santi, le predicazioni quaresimali, i panegirici e le solenni omelie domenicali. Non solo benedizioni con l’aspersione di acquasanta e con il profumo di incenso, ma anche cultura, erogata dall’unica scuola attiva del paese, quella parrocchiale. Nella chiesa matrice il clero incardinato svolge compiti formativo-educativi non trascurabili, assicurando lezioni di alfabetizzazione primaria e soprattutto di greco, di latino, di filosofia, di musica per i giovani più promettenti desiderosi di ascendere agli ordini sacri e/o di conseguire un titolo accademico. Nella chiesa cinquecentesca si avviano le prime sperimentazioni di indottrinamento cristiano con il catechismo ai fanciulli imposto dal Concilio di Trento, ma si organizzano anche incontri di svago, ludici e di intrattenimento, per alleviare la durezza esistenziale. In poche parole l’antica parrocchia carmianese è stata per cinque secoli l’unico e insostituibile teatro funzionante, sempre aperto e accogliente, una sorta di rifugio ricercato e appagante. In quel luogo tutti gli abitanti si sono riconosciuti protagonisti, attori emotivamente coinvolti, pronti a dimenticare soprusi e invidie, affratellati da un unico destino, quello di sperare in un futuro ultraterreno privo di sofferenze e di rivalità. La cieca decisione di cancellare la chiesa nel 1961 ci vieta di raccontare tutto questo attraverso la visione viva dell’edificio sacro. Esso non può più parlare alle nuove generazioni perché distrutto e sostituito da una costruzione moderna che ha privato Carmiano di continuare a specchiarsi nella storia più profonda del suo passato.
Mario Spedicato