Il fotovoltaico e la sfida di impianti sostenibili
Sulla base dei dati del Rapporto Statistico del GSE, a fine 2012 la Puglia era la prima regione italiana per numero di impianti fotovoltaici e potenza installata. Gli impianti a terra occupavano 3922 ettari, con una potenza di 1.910,6 Megawatt e nella Provincia di Lecce, gli impianti presenti producevano 647 Megawatt, rappresentando il 3,9% a livello nazionale.
Il triennio 2010-2012, ha rappresentato il boom per questa tecnologia. Questa crescita esponenziale è stata possibile per diversi fattori come, ad esempio, gli incentivi statali, il costo medio dell’energia, la posizione geografica, l’irraggiamento solare nella nostra regione e anche (purtroppo) le inadeguate e superficiali normative riguardanti l’installazione degli impianti. Infatti, nel 2010, in Puglia, per installare un impianto da 1 Megawatt era sufficiente una semplice DIA ai sensi della LR 1 e della successiva LR 31 del 2008 (Leggi che tenevano conto esclusivamente dei vincoli paesaggistici del PUTT e del rapporto superficie radiante/superfici totale (comprensiva di quella da destinare alle pratiche agricole). E’ stata necessaria una sentenza della Corte Costituzionale per modificare questa Normativa Regionale.
Questo insieme di condizioni “favorevoli” ha fatto crescere il settore e spinto purtroppo molti proprietari terrieri a realizzare impianti con il metodo dei “terreni in diritto di superficie”, vincolando porzioni di territorio alle società energetiche per 20 anni, più 5 (questi serviranno per la dismissione) e creando delle “centrali energetiche” a cielo aperto, che hanno sottratto rilevantissimo spazio agricolo e paesaggistico al nostro territorio.
Impianti realizzati su strutture fisse, più o meno grandi, inclinate a 30°, “verso Sud”, in molti casi montate su basi in cemento armato e non infissi direttamente nel terreno. Infine, per ottenere l’incentivo, si dovevano sottoscrivere determinati vincoli come ad esempio, quello sulla potenza prodotta o soprattutto sullo “smaltimento” dei moduli, allo stato attuale smaltiti all’estero.
Fortunatamente, oggi, la concezione generale e l’approccio al fotovoltaico è molto cambiato rispetto ad allora. Abbiamo capito che si deve investire in impianti “sostenibili”, ad uso del territorio e delle comunità locali, perché uno degli errori più grandi commessi in passato è stato quello di disperdere le ricchezze ricavate da quel periodo e limitare i benefici a pochi fortunati. Inoltre l’attuale evoluzione tecnologica nel settore consente di ragionare concretamente sulla nuova frontiera dell’Agrovoltaico, che se applicata correttamente potrebbe aiutare tutta la filiera agricola, affrontando decisamente il problema dei grandi impianti a terra.
In questo momento, ad esempio, con l’abbassamento dei costi per un pannello (0,20€/W, rispetto ai 2,00 €/W del 2010) insieme al miglioramento dell’efficienza, le società energetiche, quasi tutte di nuova costituzione e in rappresentanza di grandi fondi economici, iniziano a fare e proporre il “revampig” dei vecchi impianti, riducendone la porzione coperta nel terreno e rimuovendo il cosiddetto “ostacolo a Sud”. Inoltre le nuove tecnologie, più piccole e leggere, consentono di sviluppare i nuovi impianti su strutture su monopalo infisso nel terreno con inseguimento del sole da est a ovest. Il che, considerata la tipologia di installazione, l’altezza e il distanziamento delle strutture, consente di poter esercitare pratiche agricole in queste porzioni territoriali verso la strada all’agrovoltaico.
Non a caso, lungo la parola d’ordine “no ad ulteriore consumo di suolo, un tassello importante della Strategia nazionale per il Sistema Agricolo, Agroalimentare, Forestale, della Pesca e dell'acquacultura consegnata dalla precedente Ministra delle Politiche agricole Bellanova come contributo al Pnrr era quello del Parco Agrisolare.
progetti tesi allo sviluppo del biometano e alla realizzazione di un Parco AgriSolare, con la realizzazione di impianti fotovoltaici sui tetti delle strutture produttive agricole e zootecniche, mettendo a valore edifici esistenti e opportunamente rinnovati. Progetto teso contemporaneamente a migliorare la competitività delle aziende agricole, riducendo i costi di approvvigionamento energetico, contribuendo alla decarbonizzazione del Paese e all'ulteriore consumo di suolo, evitando di poggiare sul terreno anche un solo pannello.
Su questi temi ed innovazioni si deve concepire qualsiasi sforzo normativo, imprenditoriale ed istituzionale nell’approccio alle produzioni di energia sostenibile.
Il problema, dunque, non è più “tecnologico”, ma è quello che deve essere: scelte politiche, percorso istituzionale, leale collaborazione soprattutto quando sono in campo i diversi livelli della governance, dinamica amministrativa. Lo strumento autorizzativo è il PAUR (Provvedimento Autorizzato Unico Regionale), che con la conferenza dei servizi degli Enti interessati e le fidejussioni da stipulare per realizzazione e dismissione, autorizza e licenzia gli impianti. Il rilascio del PAUR è assegnato alle Provincie, in quanto autorità competenti in materia di VIA. Questa impostazione normativa, chiarisce le competenze su questo settore e sposta il problema a livello territoriale.
Oltre a questi meccanismi burocratici ed alle criciticità dei degli impianti obsoleti e vecchi nei terreni agricoli, l’urgenza di iniziare ad affrontare concretamente il tema delle energie sostenibili riguarda i nuovi obiettivi dalla Comunità Europea. Il mese scorso, a Bruxelles, con l’approvazione all’unanimità del Piano Nazionale Integrato Energia e Ambiente, si sono imposte le nuove linee guida, i criteri e gli obiettivi da raggiungere entro il 2030. Secondo il P.N.I.E.A., l’Italia dovrà produrre mediamente al mese circa 83 Megawatt per l’eolico e 250 Megawatt per il fotovoltaico.
Per essere in grado di affrontare questa sfida, i nostri territori, devono attrezzarsi ai nuovi parametri e correggere gli errori fatti fino ad ora. Ottimizzare il fabbisogno energetico di ogni cittadino e correggere gli sprechi del passato, senza disperdere queste ricchezze naturali è tra le priorità. I Piani energetici e i centri di ricerca sono importanti, ma per renderli veramente efficiaci devono apportare soluzioni ed iniziative coerenti alle impostazioni comunitarie e adeguate alle criticità del territorio. Sarà possibile creare un Piano Energetico Regionale solo se concretamente si centralizzano percorsi veloci e diretti per il rilascio di pareri ambientali e licenze, si attivano incentivi a favore delle specializzate imprese locali e dell’agrovoltaico, si investe concretamente, anche con la indicazioni di capitoli ad hoc, sullo smaltimento e il recupero delle materie prime presenti negli impianti di vecchia generazione, e soprattutto sulla rigenerazione dei terreni, per una nuova idea di bellezza, sviluppo, economia. Non basta annunciarla come specchietto per le allodole: la sostenibilità va praticata.
Massimo Toma
Emanuele Verdoscia