La storia dell'uomo è segnata da ricorrenti epidemie che hanno provocato grandi cambiamenti demografici, sociali ed economici.
Nei secoli scorsi il colera, la peste, il vaiolo, la poliomelite, il tifo, il morbillo comparivano periodicamente tra le popolazioni europee, decimandole. Nel '700 il 20% della popolazione italiana moriva di una sola malattia: il vaiolo.
La svolta si deve a due scoperte eccezionali, tra le più importanti della storia della medicina. Nel 1798 il medico inglese Edward Jenner, riprendendo una credenza popolare secondo la quale gli allevatori di bestiame contagiati da una malattia pustolosa delle mucche (vaiolo vaccino) restavano poi protetti dal ben più grave vaiolo umano, inocula in soggetti sani del materiale proveniente dalle pustole di mucche affette da vaiolo e poi, a distanza di alcune settimane, materiale proveniente da pustole di vaiolo umano: la mancata comparsa della grave malattia lo convince dell'efficacia preventiva della pratica che sarà poi conosciuta con il nome di vaccinazione. Nel 1928 un microbiologo inglese, Alexander Fleming, si accorge che una muffa sviluppatasi casualmente in una piastra di coltura aveva la capacità di distruggere i batteri. Fleming identifica la muffa come appartenente al genere Penicillium notatum. I suoi studi successivi dimostrano che l'estratto della muffa manteneva la stessa capacità antibatterica arrivando così a scoprire la Penicillina G, il primo degli antibiotici.
La scoperta dei vaccini e degli antibiotici modifica radicalmente il rapporto dell'uomo con le malattie infettive. La maggior parte di queste vengono, con il passare degli anni, prevenute o efficacemente curate. Se prima si moriva soprattutto di infezione, oggi (nei Paesi sviluppati) le infezioni letali sono molto rare, interessando quasi esclusivamente soggetti immunocompromessi. L'aspettativa di vita è perciò aumentata, passando, in Italia, dai circa quarant'anni degli inizi del secolo scorso agli oltre ottanta dei giorni nostri.
La ricerca scientifica si concentra su nuovi obiettivi, soprattutto sulle malattie cardiovascolari, oncologiche, metaboliche, neurologiche. La sanità investe in larga parte nella cura delle malattie degenerative e non si attrezza per affrontare nuove malattie epidemiche.
E' questo lo scenario quando, all'inizio dell'anno 2020, compare il SARS-CoV-2, un virus molto contagioso, con una letalità stimata intorno all'1%. Il nuovo coronavirus trova terreno fertile nella popolazione priva di anticorpi specifici, si diffonde facilmente nei cinque continenti lungo le rotte della motilità mondiale e causa rapidamente una pandemia. A tutt'oggi, e a pochi mesi dalla notifica dei primi casi, si registrano nel mondo oltre 2,2 milioni di contagi e più di 150.000 morti.
A noi, che non conserviamo la memoria delle gravi malattie contagiose del passato sembra tutto molto strano, quasi assurdo. Eppure il dramma che oggi viviamo è stato conosciuto, in proporzioni incommensurabilmente maggiori, dalle generazioni che ci hanno preceduto. Per madre natura, niente di sorprendente sotto il cielo del mondo.
Luciano Merli