Alcuni decenni addietro fu pubblicato un libro a firma di Giovanni Paticchia dall’emblematico titolo “Carmiano ha un volto”. Eravamo negli anni ’60 del secolo scorso e questo titolo risultò tanto paradossale quanto infelice. Da poco era stata demolita la vecchia chiesa matrice del XVI secolo, il volto inconfondibile, dell’intera comunità, operazione barattata dall’autore del volume, allora sindaco del paese, con il pieno sostegno del vescovo Minerva e del parroco Vergori per reperire le risorse economiche necessarie (messe a dsposizione da una banca locale in cambio dell’acquisizione dello spazio sacro) per completare i lavori della nuova chiesa matrice. Quell’operazione editoriale, una sorta di sintesi divulgativa di storia paesana, suonava come una excusatio non petita, quasi una riparazione postuma di un atto scellerato che aveva cancellato in maniera irreversibile il volto del paese. Da allora Carmiano ha perso la sua originaria identità, presentando una fisionomia urbana irriconoscibile, aggravata dalla sistematica alterazione del suo centro storico e da uno sviluppo urbanistico segnato dal diffuso abusivismo edilizio.
Il confronto con i paesi limitrofi non aiuta a dare ragione di questo regresso. Copertino, Leverano, Veglie, Novoli, Campi, Arnesano e la stessa Salice sono riusciti nel bene e nel male a conservare il loro antico nucleo urbano tutelando gli edifici storici più importanti (chiese, strutture abitative, castelli e altro), mentre a Carmiano sono rimasti in piedi solo la chiesa dell’Immacolata e il semi-diruto (e ancora contestato) palazzo dei celestini di Via Lecce. Da giovane ricercatore ho cercato di destinare parte del mio tempo al recupero dell’identità perduta con studi mirati, riscattando il paese in cui sono nato dalla marginalità culturale e dall’anonimato storiografico. Ben 6 volumi pubblicati, che sono serviti ad aprire un orizzonte diverso per la storia del paese e a tenerlo in competizione (in materia di conoscenze storiche) con gli altri più vicini, dotati di una storia più ricca e di una considerazione più alta per la cura che hanno assicurato al loro patrimonio architettonico e artistico. Questo tuttavia non è bastato per dare a Carmiano amministratori capaci e per formare un ceto intellettuale e professionale all’altezza della situazione, cioè pronto a far fronte al degrado in cui si è venuto progressivamente a trovare. In tempi più recenti le divaricazioni con i paesi limitrofi sono venute allargandosi, lasciando Carmiano più indietro di quanto si potesse immaginare a metà del secolo scorso.
I paesi del circondario sono nettamente in avanti (culturalmente e economicamente) e hanno utilizzato i loro simboli storici (ben tutelati) per accrescere la loro identità comunitaria. Copertino ha puntato sul castello angioino-aragonese e sul santo dei voli per distinguersi dagli altri centri vicini; Leverano sulla torre medioevale per marcare la sua antica origine¸ Veglie sulla tutela del suo centro storico per dare maggiore visibilità alla sua emancipazione urbana, Arnesano sul recupero funzionale del suo palazzo marchesale per rilanciare la sua agenda culturale. Carmiano invece è rimasto al palo. Con la cancellazione della sua antica chiesa matrice ha perso quasi tutto (piazza, centro storico e articolato urbano), tranne la chiesa extra moenia dell’Immacolata, fortunatamente gestita dall’omonima confraternita che è riuscita a farla sopravvivere all’estinzione. In mano pubblica avrebbe fatto certamente una fine ingloriosa. A questa seicentesca chiesa mariana si potrebbe aggiungere il cinquecentesco semi-diruto palazzo dei Celestini, ma “campa cavallo” se ancora resta irrisolto il problema della titolarità patrimoniale e quello legato alle esose spese dei lavori di manutenzione straordinaria rivendicate dall’ex sindaco Mazzotta.
Questo contesto non appare incoraggiante per ritrovare l’identità perduta, ma neppure per cercarne una nuova, senza offendere ulteriormente il superstite tessuto urbano. Carmiano è una comunità piuttosto recente, le cui vicende storiche possono essere documentate a partire da metà ‘400, con l’arrivo dei Celestini come padroni del feudo. La presenza dei primi nuclei familiari è legata alla politica espansiva dei Celestini che mira a rendere abitabile un territorio in larga parte boschivo (infestato da lupi) e non adatto alla produzione di generi di prima necessità. All’inizio si contano 13 famiglie, la cui provenienza non è nota, che si vanno ad insediare nei pressi di un pozzo, da cui traggono la prima risorsa per vivere. Nel corso del Cinquecento il paese si apre in maniera larga ad accogliere altre famiglie forestiere, in particolare nuclei albanesi che fuggono dalla loro terra dopo l’invasione turca. Il movimento migratorio non si arresta nei secoli successivi anche per l’interesse dei Celestini a trovare braccia sufficienti per il disboscamento del feudo e la messa a coltura di ampie fasce di territorio, concedendo gratuitamente ai forestieri che vengono ad insediarsi nel paese terreni per edificare le loro case, oltre che l’esenzione di alcune tasse.
Al netto delle prime famiglie considerate indigene riconducibili ai Graziani, Franchi, Melcaro, Meliteno Scardia e poi ai Casilli (e/o Cazzilli), Provenzano, De Monte (e/o Monte) e poche altre Carmiano si qualifica come un paese di migranti, la cui popolazione sale e scende a seconda delle ripetute emergenze epidemiche. Solo con il superamento del morbo pestifero e di altre malattie infettive (vaiolo, colera, tifo petecchiale) e con l’avvento di migliori condizioni igieniche e medico-terapeutiche la curva demografica acquista un’andatura più robusta, passando da poco meno di 1000 abitanti ad inizio ‘800 a quasi il triplo di un secolo dopo fino a toccare oltre 9.000 negli anni a noi più vicini. In questo lungo arco temporale il paese completa in via definitiva il suo percorso urbanistico con l’attuale connotazione abitativa, perdendo però pezzi importanti del suo passato senza poterli più recuperare. Un processo che priva il paese della sua originaria identità e lo pone alla ricerca di un’identità nuova, la cui fisionomia non appare ancora decifrabile.
Due, in buona sostanza, restano le strade da seguire: la prima scontata, quella di governare l’esistente cercando di privilegiare l’ordinaria amministrazione con interventi di routine che mirano a fornire i servizi essenziali alla popolazione residente con qualche extra legato al quieto vivere riassumibile nel tradizionale motto “panem et circenses” di romana memoria; la seconda molto più impegnativa, quella di elaborare una nuova funzione del paese all’interno del distretto territoriale di cui fa parte, mettendo mani ad una rivoluzione green e anticipando su questo versante il cambiamento inevitabile imposto dalle emergenze climatiche. Per realizzare questo ambizioso progetto ecologico però ci vorrebbe un’amministrazione capace, culturalmente attrezzata e, fatemelo scrivere, prospetticamente visionaria. Carmiano nel 2050 riuscirà a risorgere dall’indistinto urbano ed avere una nuova identità?
Mario Spedicato