Il contesto storico
Il culto dell’Immacolata a Carmiano è legato alla fondazione di una chiesetta fuori dal centro abitato eretta molto verosimilmente nell’ultimo decennio del XVI secolo in seguito al ritrovamento di un’immagine mariana ritrovata nel territorio circostante. Una circostanza -che nel Salento e nel Mezzogiorno d’Italia si ripete in più parti, lasciando una scia miracolistica sull’evento- tramandata per diversi anni per via orale e solo dalla metà del XVII secolo riportata nei documenti canonici in occasione dell’inaugurazione della nuova chiesa mariana (quella attuale) progettata e realizzata dall’architetto Giuseppe Zimbalo prima di lasciare Carmiano per trasferirsi stabilmente a Lecce.
L’antefatto
Il racconto segue un canovaccio noto e consolidato nella letteratura religiosa. Il ritrovamento in pozzi, cunicoli, terreni abbandonati di un’immagine mariana si situa sul crinale temporale del Concilio di Trento, quando l’intero Salento passa sotto il diretto controllo romano dopo un passato in cui lo legava strettamente alla chiesa di Bisanzio. Il ritrovamento risponde ad un cliché usato e abusato che ricorda le lotte iconoclaste contro le immagini sacre nel periodo bizantino. Una risposta plateale alla tradizione ellenofona che si vuole cancellare con il recupero e lo svelamento di tante tele gelosamente nascoste per evitare la loro distruzione. L’avvenuta e irreversibile obbedienza alla chiesa romana si celebra anche con l’esposizione di queste immagini mariane che non avevano trovato nel periodo precedente accoglienza in alcun luogo sacro. Da qui la necessità di fornire una chiesa, un’edicola o una “chiesucola” che possa ospitare queste immagini sacre per alimentare la devozione dei fedeli. Tutto parte da una leggenda dal sapore miracolistico. Si racconta che a Carmiano il trasporto della effigie mariana, ritrovata in un pozzo della campagna limitrofa, avviene su un carretto trainato da due buoi con destinazione la chiesa madre intitolata a Maria SS. Assunta (demolita colpevolmente nel 1961 per trasformare lo spazio sacro nell’attuale sede del Comune e di una Banca), chiesa aperta al culto nel 1560. A poche centinaia di metri dal paese, sulla via che porta a Villa Convento, il carretto trainato dai due buoi si impantana dentro una melma di fango, accumulatosi dopo diversi giorni di pioggia, da impedire il cammino. Le ripetute frustrate ai due buoi non sortiscono gli effetti desiderati, anzi finiscono per spezzare i legamenti con il carretto che rimane bloccato, senza andare né avanti né indietro, cadendo dentro una vera e propria sabbia mobile. L’impossibilità di proseguire il percorso e di raggiungere la meta prefissata vengono interpretati dalla pietà popolare come un segno divino e considerare quel sito come quello prescelto dalla stessa Vergine Maria per ricevere una degna accoglienza. Contro il parere del clero della parrocchia, ostile alla nascita di una devozione fuori dal recinto sacro di sua pertinenza, il reperto mariano resta custodito dove temporaneamente si è impantanato. Nei mesi successivi per iniziativa popolare si pone mano alla costruzione di un piccolo edifico sacro, una sorta di “chiesucola”, dove viene collocata l’immagine mariana ritrovata per essere esposta alla devozione dei fedeli. Nel giro però di pochi decenni la “chiesucola” si rivela piccola e inadeguata per contenere il flusso crescente dei pellegrini e per assicurare le principali funzioni liturgiche. Si decide così di costruire a ridosso del primitivo edificio sacro una nuova chiesa mariana, quella oggi esistente, aperta ufficialmente al culto nel 1654.
L’esplosione devozionale e l’adozione del patronato civico
La piena funzionalità della nuova chiesa mariana alimenta produce un’esplosione devozionale inaspettata a largo raggio. Il culto dell’Immacolata non solo coinvolge l’intera comunità di Carmiano, ma tocca estesamente anche i centri limitrofi, divenendo nella seconda metà del Seicento il più attrattivo e partecipato della zona. La chiesa extraurbana dell’Immacolata si pone nei circuiti del sacro come un polo di pellegrinaggio locale di primaria importanza. L’immagine mariana gelosamente custodita sull’altare barocco dello Zimbalo diventa una meta agognata e ricercata con una frequenza impressionante da fedeli di diverso ceto sociale e di diversa provenienza geografica. Si registrano numerosi fatti straordinari (ritenuti veri e propri miracoli), attribuiti alle qualità taumaturgiche dell’immagine mariana. L’intenso fervore devozionale favorito e accresciuto da improvvise guarigioni spinge il popolo a chiedere l’adozione del protettorato civico, prima riconosciuto in forma solo ufficiosa alla Vergine dell’Assunta, titolare della chiesa matrice. Il clero parrocchiale però si mostra ostile a questo passo, non solo per non perdere la centralità acquisita nella promozione cultuale, ma anche perché escluso dalla gestione della chiesa mariana, affidata sempre dal vescovo leccese a preti forestieri, che risiedono permanentemente nella casa-canonica della chiesa appositamente costruita. Ma i tempi si rivelano maturi per dare rapido approdo alla richiesta di protezione celeste. Sotto la forte pressione popolare gli amministratori decidono di accogliere la petizione popolare e di avviare le operazioni per l’adozione del patronato civico. Convocano all’inizio del XVIII secolo” in un pubblico parlamento” tutti i capo-famiglia del paese e con il loro esplicito assenso portano all’approvazione, senza alcuna riserva, dell’Immacolata a protettrice della comunità carmianese. L’atto (con l’annesso articolato delle spese a totale carico del Comune per i festeggiamenti patronali fissati nella seconda domenica di agosto) viene trasmesso al clero capitolare della chiesa madre per essere inoltrato al vescovo per le opportune vidimazioni canoniche, di acquisire cioè la piena ufficialità religiosa prima di essere trasmesso alla Sacra Congregazione dei Riti, organo della Curia romana autorizzato a concedere la conferma definitiva.
Nulla di tutto questo avviene. Il clero parrocchiale non si mostra collaborativo, i vescovi della diocesi, seppure informati, non danno seguito al percorso istruttorio, nessuna carta arriva a Roma per l’approvazione finale. Il protettorato dell’Immacolata sopravvive per inerzia, per volontà esclusiva della pietà popolare che rimane attaccata al culto mariano senza attendere ulteriori riscontri dalle autorità religiose. Da parte sua il clero parrocchiale si prende la sua rivincita qualche decennio dopo, formalizzando a fine Settecento il patronato civico di san Vito martire, contrapposto a quello mariano ormai predominante, al fine di recuperare spazi nella gestione del sacro irrimediabilmente perduti.
Il dogma dell’Immacolata e la nascita della confraternita
Il culto dell’Immacolata si consolida con il dogma della Concezione emanato da papa Pio IX nel 1854, ma a Carmiano riceve un ulteriore impulso per l’entrata in scena di una nuova associazione religiosa. Due anni prima, nel 1852, presso la chiesa mariana viene istituita l’omonima confraternita per iniziativa di un gruppo di devoti che già da tempo si occupano dell’organizzazione della solenne processione della seconda domenica di agosto. Una ricorrenza devozionale quest’ultima legata al patronato civico assunto nel primo Settecento, ma parzialmente oscurata dopo la promulgazione del dogma, quando la tradizionale processione mariana viene spostata in via definitiva all’8 dicembre di ogni anno, festività dell’Immacolata Concezione. Questa data resta fondamentale nella vita della confraternita, a cui viene delegato il compito liturgico di assicurare la novena, la predicazione del triduo e di organizzare la solenne processione nel paese. Come primo priore della confraternita mariana viene eletto Felice Lecciso, che risulta anche proprietario della statua utilizzata per le processioni. Il Lecciso riesce abilmente a far assumere al suo simulacro un valore taumaturgico, a cui l’intera comunità carmianese tende progressivamente a riconoscersi, affezionandosi in maniera morbosa e passionale. Approfittando di questo ampio riscontro popolare il titolare della statua incorre in diversi atti disdicevoli, scantonando spesso in ricatti e soprusi che alla lunga esplodono in aspri e interminabili conflitti. L’uso privato del simulacro mariano tra il 1854 e 1855 non conosce limiti, con esagerazioni intollerabili, legate ad indebite appropriazioni di denaro. La statua viene strumentalmente portata in processione di casa in casa dei malati e dei devoti che ne fanno richiesta. Con maldicenze inevitabili che corrono di bocca in bocca. Il Lecciso, in qualità di priore, raccoglie offerte e doni in metallo prezioso senza mai dare conto agli altri “ufficiali” della confraternita. Una situazione insostenibile che ben presto porta ad un redde rationem all’interno dell’associazione laicale con la decisione unanime dei confratelli di togliergli la fiducia e di privarlo della responsabilità gestionale.
Un conflitto che dura dieci anni
Allontanato dalla confraternita il Lecciso si vendica negando la statua di sua proprietà per le processioni mariane, concedendola eccezionalmente solo per la festività dell’8 dicembre. La confraternita non accetta il ricatto e commissiona una nuova statua in cartapesta dell’Immacolata ad una bottega leccese. La nuova statua confraternale fa il suo ingresso pubblico nel paese in occasione della processione dell’Immacolata dell’8 dicembre 1857, scatenando un putiferio, una vera rivolta popolare. Al grido “abbasso la congrega, vogliamo la Madonna Nostra” (con riferimento alla statua di proprietà del Lecciso) un consistente gruppo di facinorosi blocca la processione, chiudendo anzitempo il rito religioso. La sollevazione popolare si ripete puntualmente in ogni ricorrenza liturgica di carattere mariano, spingendo il sindaco ad imporre al priore della confraternita, Luigi De Monte, il ritiro del simulacro sacro. Ma neppure questo basta per riappacificare gli animi se il 29 novembre del 1858, data di inizio della novena, una marea di gente si riversa sulle strade del paese per contestare la nuova statua della confraternita. La folla si muove minacciosa verso la chiesa extraurbana dell’Immacolata, chiedendo espressamente la soppressione della congrega mariana. La situazione rischia di precipitare in una rivolta permanente, costringendo l’Intendente della provincia ad inviare per sedarla una nutrita guarnigione militare. L’ordine pubblico nel paese è messo a dura prova. Carmiano diventa teatro di un conflitto religioso difficile da spegnere. Il sindaco del tempo Gaetano Gustapane propone un compromesso, quello di una nuova statua mariana commissionata dal Comune in sostituzione di quelle del Lecciso e della confraternita, soluzione che non trova però l’approvazione delle fazioni in lotta. Il contenzioso si allarga su altri aspetti, quali quelli sul ruolo gestionale esercitato dalla confraternita e sul diritto di patronato della chiesa, con esiti che restano incerti fino al 1864, quando per iniziativa del prefetto di Lecce Enrico Lupinacci e del sindaco di Carmiano si decide di concedere al Lecciso in comodato d’uso un “tratto di suolo per costruire una cappella come ricovero della sua statua” per la cui utilizzazione si prescrive l’osservanza di precisi adempimenti. Da parte sua il vescovo di Lecce tramite il vicario capitolare Carmelo Cosma firma l’interdizione canonica delle due statue, quella del Lecciso e della confraternita, approvando quella dell’amministrazione civica, atto che riconosce in via definitiva la chiesa dell’Immacolata di patronato comunale e la facoltà della parrocchia locale di esprimere il rettore spirituale.
Una disposizione che non trova però una puntuale e duratura applicazione. La statua del Lecciso per quieto vivere continua ad essere utilizzata nelle processioni mariane anche nei decenni successivi, ma il simulacro originale (quello appellato dalla folla inferocita nel 1857 come “Madonna Nostra”) che aveva generato un conflitto interminabile scompare dall’orizzonte religioso locale, cancellato da un incendio divampato di notte per la caduta di una candela. L’attuale statua dell’Immacolata, che sostituisce la prima, risale al 1931 allestita sulle sembianze della vecchia da una bottega leccese, ma adornata di abiti sempre cangianti che negli ultimi anni sono apparsi di raro pregio.
Mario Spedicato