Carmiano come comunità nasce alla fine del Medioevo. Prende la forma di casale nel primo Quattrocento per assumere un’identità abitativa inconfondibile solo nella seconda metà del secolo per iniziativa dei Celestini di Santa Croce di Lecce, nuovi signori del feudo a partire dal 1448. I censimenti fiscali del periodo Aragonese (1443-1503) documentano enormi difficoltà insediative, che non consentono ad assicurare al nascente agglomerato urbano una lineare evoluzione demografica. A metà del XV secolo a Carmiano è segnalata la presenza stabile di 13 famiglie (circa 50 persone), numero che resta in buona sostanza bloccato per tre-quattro decenni. Solo nel primo Cinquecento si registra un cambio di passo che porta il casale ad allargare il suo perimetro abitativo. Già nel 1530 le famiglie che vi abitano risultano 60 (250 abitanti circa), crescono a 98 nuclei (poco più di 350 abitanti) nel 1561 e toccano la punta più alta nel 1595 con 168 unità domestiche (equivalenti grosso modo ad oltre 600 anime). In estrema sintesi lo sviluppo demografico più consistente a Carmiano si verifica nel corso del XVI secolo, in concomitanza con la scelta dei feudatari di erigere il loro palazzo baronale e con la nascita nel 1560 della nuova matrice intitolata all’Assunta, in sostituzione della vecchia chiesa eretta nel secondo Quattrocento intitolata a San Giovanni Battista con annesso un piccolo cimitero a cielo aperto.
Già quindi nel XVI secolo si possono isolare i primi tratti identitari della popolazione carmianese, che nella sua iniziale struttura morfologica-genetica appare fortemente segnata da forzati spostamenti di popolazione dall’interno e da cicliche migrazioni estere, in massima parte provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. I protagonisti principali del fenomeno di ripopolamento del territorio sono senza dubbio i Celestini di Santa Croce di Lecce, che hanno interesse a rendere un feudo, da poco acquisito, da disabitato a popolato. Nel secondo Quattrocento si adoperano per costruire una comunità intorno ad un pozzo, avviando contestualmente un progressivo disboscamento delle zone limitrofe e liberando il territorio dalla massiva presenza di lupi, atti che consentono di creare le pre-condizioni necessarie per favorire l’exploit demografico del secolo successivo.
Nel Salento durante il primo Cinquecento i flussi migratori esterni sono imposti soprattutto dalle minacce ottomane nel Mediterraneo orientale. Slavi e albanesi per non cadere sotto il dominio turco (l’Albania cade in mano ottomana nel 1478) scelgono di riparare altrove, lasciando la loro terra e trovando nell’accoglienza dei salentini un approdo sicuro. Nel 1506 a Carmiano risultano già insediate 8 famiglie di origine albanese e altre 5 di slavi (slavoni o schiavoni come vengono appellati), accolti dai Celestini come perseguitati politici e per questa ragione esentati da qualsiasi contribuzione fiscale. Il primo agglomerato urbano che si forma intorno al pozzo del casale è composto in buona parte da forestieri, lontani dal rappresentare geneticamente i Messapi, gli antichi abitatori del Salento. I Celestini cercano anche manodopera per avviare il disboscamento del feudo e la trovano nella larga disponibilità delle robuste braccia dei Giannizzeri, circa 2000 guerrieri al servizio del Sultano, che dopo però la riconquista di Otranto nel settembre 1481 da parte dell’esercito aragonese si rifiutano di ritornare a Valona (sede della flotta turca nel Basso Adriatico), decidendo di stabilirsi in via definitiva nel Salento. Parte di questa forza-lavoro viene intercettata dai Celestini e utilizzata per recuperare aree boschive alla coltivazione. Non si conosce il numero dei Giannizzeri impiegati nell’opera di deforestazione e neppure quanti di loro chiedono di far parte della nascente comunità di Carmiano. I loro incomprensibili cognomi per necessità comunicative vengono prontamente volgarizzati, perdendo rapidamente la loro primitiva origine. Da qui la difficoltà di individuarli, finendo per essere confusi nella schiera eterogenea dei forestieri. Un fatto tuttavia continua a segnarli: albanesi, slavi e giannizzeri sono tutti di religione cristiana, ma di rito ortodosso che praticano liturgie differenti da quelle riconducibili al rito cattolico-romano. Non è un caso che nella quattrocentesca chiesa curata di San Giovanni Battista, almeno per un secolo dalla sua istituzione, si celebrano entrambi i riti (per abluzione e per immersione come nel battesimo) a seconda della affiliazione religiosa bizantina o romana. Bisogna attendere i decenni successivi al Concilio di Trento (1545-63) perché si affermi in forma definiva il solo rito romano, vietando rigorosamente quello trasmesso dalla chiesa cristiana orientale, considerato dalla Curia papale eretico e non più tollerabile.
La mobilità esterna che viene alimentata da trasferimenti provenienti dall’altra costa dell’Adriatico a Carmiano si somma con quella interna, numericamente maggioritaria, che vede protagonisti altri nuclei familiari del circondario. Impossibile censire questi spostamenti da un paese all’altro del Salento in mancanza di documenti probanti (come per esempio i registri dei matrimoni, disponibili nel nostro caso solo dagli anni ’30 del Seicento). Spesso si tratta di una mobilità provvisoria, altre volte con un radicamento definitivo. In seguito tuttavia a queste nuove presenze domestiche si allarga l’antico perimetro abitativo. L’agglomerato originario del paese nato nel Quattrocento intorno ad un pozzo non basta più a contenere la crescita demografica registrata nel corso del Cinquecento. Si cercano nuovi spazi edilizi fuori dal primitivo insediamento. Si fanno interpreti di questa necessità le prime (in ordine temporale) famiglie dominanti del paese, ossia i Meliteno, i Franco, i Gratiano e, più tardi, anche gli Scardia. Questi nuclei escono progressivamente dall’anonimato urbano perché in grado di costituire autonomamente proprie “isole” (quartieri, corti) a loro intitolate che servono a distinguerle dal resto della popolazione residente. Sono famiglie che esercitano per lungo tempo il potere locale con parroci e sindaci a loro ascrivibili, ma sono anche famiglie che non possono vantare né un’origine autoctona e neppure di esprimere note casate nobiliari. La fortuna dei Meliteno va esclusivamente ricondotta alla lontana parentela con il capitano militare di Lecce, quella dei Franco al riscatto dalla schiavitù da parte dei turchi, l’altra dei Gratiano ai favori concessi dai Celestini, mentre per gli Scardia ad un’abile, benché di corto respiro, strategia matrimoniale. In buona sostanza anche ai livelli alti della primitiva popolazione carmianese si tratta di parvenus di forestieri che non forniscono nessuna autentica e visibile traccia di un paese con una identità indigena ben marcata. Già dalla sua nascita Carmiano è un paese formato da forestieri di diverse etnie e lo resterà per lungo tempo.
Mario Spedicato