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Lunedì, 16 Settembre 2024
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In questi giorni sono apparsi nel paese i manifesti che annunciano la festa della “Madonna Nostra”. Mi sono subito chiesto: quale Madonna andiamo a celebrare? Quale culto si nasconde dietro l’accattivane richiamo della “Madonna Nostra”? L’Assunta titolare della chiesa matrice o l’Immacolata protettrice del paese? Ho avuto la convinzione che ancora pochi conoscano la storia religiosa di Carmiano e tra questi non ci sono sicuramente i soggetti che abitano i piani alti del Comune, i responsabili delle confraternite, i sacerdoti e i padri spirituali che si alternano alla guida delle chiese e delle parrocchie locali, a cui si accodano passivamente anche le varie commissioni delle feste patronali. La confusione regna sovrana, seguita da un alto tasso di mistificazione degli atti e dei sentimenti devozionali più autentici.   

Fornisco in maniera sintetica qualche elemento di comprensione nella speranza che gli studi possano servire a chiarire i processi storici ed aiutino a conoscere e rispettare le tradizioni religiose del paese.

  1. A Carmiano nella seconda metà del XV secolo esiste una piccola chiesa intitolata a S. Giovanni Battista dove si officiavano le funzioni religiose con entrambe le liturgie (bizantina e romana) per rispettare una popolazione in buona parte di provenienza greca, slava e albanese di rito ortodosso. S. Giovanni Battista è riconosciuto unanimemente il protettore del paese.
  2. Nel 1560 viene inaugurata la nuova chiesa matrice (che ingloba la vecchia chiesetta di S. Giovanni Battista) intitolata all’Assunta, titolo scelto per certificare la completa obbedienza del clero locale al pontefice romano. Vengono cancellate in via definitiva le funzioni religiose di rito ortodosso. La liturgia latina resta da allora quella ufficiale. Il nuovo edificio sacro nasce con il sostegno economico della popolazione residente e per questa ragione la chiesa diventa di patronato comunale. Il Comune, in virtù di questo titolo giuridico, è obbligato a garantire la manutenzione ordinaria dell’edifico sacro, a provvedere alle sue suppellettili, a favorire l’ascesa sacerdotale dei nativi del luogo, a finanziare la predicazione quaresimale e la festa patronale, che coincide con la celebrazione liturgica dell’Assunta del 15 agosto. Nel 1561 si celebra la prima festa civica con l’Assunta protettrice del paese. Una festa che si ripete con puntualità fino ai giorni nostri. L’Assunta perderà il titolo di protettrice, ma non quello civico riconducibile al patronato assunto dal Comune all’atto della fondazione dell’edificio sacro.            
  3. Nel 1654 viene aperta al culto la nuova chiesa extra moenia dell’Immacolata, titolo mariano attribuito qualche anno prima dai francescani, al termine della loro missione popolare nel paese. La primitiva chiesetta che ospitava, secondo la leggenda, l’icona mariana ritrovata in un pozzo era intitolata alla Madonna dell’Odegitria, di chiara derivazione bizantina, per dare pieno significato al ritrovamento dell’immagine sacra, tenuta nascosta per sfuggire alla distruzione iconoclasta.
  4. Nel 1707 il parlamento cittadino in una pubblica assemblea adotta come protettrice del paese l’Immacolata al posto dell’Assunta. Una decisione mai legittimata dall’autorità religiosa che sopravvive per inerzia, trovando solo le resistenze del clero della chiesa matrice che a fine del XVIII secolo per non perdere il controllo del sacro affianca San Vito come co-protettore aeque principaliter di Carmiano, senza però ottenere anche in questo caso il definitivo assenso da parte del vescovo della diocesi.
  5. Nel 1852 viene fondata la confraternita dell’Immacolata con Felice Lecciso primo priore. Il culto mariano si rafforza nel paese in seguito alla promulgazione del dogma dell’Immacolata da parte di Pio IX nel 1854. La festa dell’Immacolata è fissata l’8 dicembre e la patrona del paese viene celebrata in quella data con la processione solenne di una statua privata di proprietà della famiglia Lecciso. In seguito a fatti non proprio edificanti il Lecciso viene allontanato dalla confraternita, il quale per ritorsione non concede la sua statua per la processione. La confraternita allora si provvede di un’altra statua scatenando però una ribellione popolare. Una fazione tumultuosa di facinorosi tiene il paese paralizzato per quasi 10 anni, bloccando le processioni dell’8 dicembre.  La parola d’ordine che viene lanciata in queste circostanze è “Vogliamo la Madonna Nostra” intendendo la statua privata dei Lecciso. La controversia si chiude nel 1864 con un compromesso vigente ancora oggi. La vecchia statua di proprietà dei Lecciso non esiste più, essendo andata distrutta da un incendio nel 1931 e sostituita con quella odierna a spese della confraternita. Sopravvive ancora la parola-d’ordine “Madonna Nostra”, un riferimento ultra-negativo che ha spaccato il paese in due fazioni, una delle quali formata da fanatici al servizio dei Lecciso. Nel periodo in cui don Bruno Spagnolo è stato padre spirituale della confraternita si è inoltrata richiesta, con la mia consulenza storica, per emancipare la confraternita da questa anacronistica dipendenza dalla famiglia Lecciso, ma l’arcivescovo del tempo D’Ambrosio, pur sollecitato, non ha aperto alcuna istruttoria sul caso. Neppure l’attuale titolare della diocesi Seccia ha mosso un dito. La questione è considerata irrilevante dalla Curia leccese.  

Alla luce di questi documentati fatti storici Il manifesto della festa di metà agosto diffuso in questi giorni nel paese con la parola d’ordine “Madonna Nostra” a quale culto mariano si riferisce? Non dovrebbe riguardare quello dell’Immacolata la cui celebrazione è fissata l’8 dicembre di ogni anno. Sarebbe un falso storico trasferire anche ad agosto la festa della protettrice del paese. La festa di metà agosto dovrebbe riguardare in maniera esclusiva il culto dell’Assunta, riconducibile al patronato attribuito al Comune sull’antica chiesa matrice del paese. Il Sindaco e l’amministrazione comunale sono in grado di tutelare le loro competenze giuridiche su questo evento e di far rispettare le tradizioni religiose consolidatesi nel paese? Si può fare finalmente chiarezza sulla parola d’ordine “Madonna Nostra” che ha segnato negativamente la storia di Carmiano?

Mario Spedicato

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Nelle vicende storiche di Magliano hanno trovato poco spazio due medici, Rosato e Aureliano Demitry, padre e figlio, originari di Magliano. Rispetto alla produzione storiografica concessa ad Antonio Miglietta, medico nativo di Carmiano, padre della terapia vaccinica, i Demitry hanno avuto una scarsa attenzione, limitata quasi esclusivamente ad Aureliano per aver studiato e pubblicato diverse terapie farmacologiche. Del padre Rosato invece poche e sintetiche notizie, oscurato anche per l’impegno profuso, come aderente alla massoneria murattiana, per essersi speso nella lotta antiborbonica. Eppure padre e figlio sono stati medici-patrioti che Magliano può orgogliosamente vantare, pionieri in Terra d’Otranto dei principi della rivoluzione francese che sono alla base della moderna democrazia occidentale.
Rosato Demitry nasce a Magliano nel 1774, formandosi presso il seminario di Lecce e laureandosi in Medicina nel 1796 a Napoli, dove si stabilisce ricoprendo il ruolo di aiutante medico nell’Ospedale degli Incurabili per poi ottenere la nomina di Chirurgo militare. Tornato in Puglia esercita la professione in provincia di Lecce per stabilirsi in seguito a Veglie, dove muore nel 1844. A Napoli entra in contatto con il compaesano Antonio Miglietta, collaborando nella ricerca e pubblicando nel 1819 Memoria teoretica sui fenomeni vaccinici, ma i due non entrano mai in sintonia se dopo qualche anno il Demitry si occupa di altro, interessandosi dapprima dell’uso dell’oppio nella terapia medica e poi allontanandosi del tutto da questi studi per interessarsi delle malattie degli ulivi di Terra d’Otranto e del fenomeno del tarantismo in Puglia. Rosato Demitry sposa Angela Miali Stasi, da cui nasce nel 1808 Aureliano, il maggiore dei 7 figli, che segue la stessa strada del padre, laureandosi nel 1829 in medicina a Napoli, la cui fortuna però va oltre le migliori aspettative. Sorprende la decisione di Aureliano di abbandonare subito la capitale del regno, tornando nella sua terra per sposare Concetta Illispagher di Taviano, figlia di un notaio del luogo. Un matrimonio fortunato anche se non coronato da figli. Nel Salento Aureliano si distingue non solo per gli studi di clinica medica con numerose pubblicazioni, ma anche per la lotta risorgimentale, per essere particolarmente attivo dopo il 1848, dando continuità alle idee espresse dal padre, che viene dal governo borbonico allontanato dagli incarichi amministrativi a Veglie per incompatibilità politica. Anche il figlio Aureliano ricopre nel 1860 la carica di sindaco di Taviano, ma prima va incontro a due procedimenti giudiziari nel 1850 e nel 1854 e sottoposto ad una stretta sorveglianza da parte della polizia borbonica. Il suo fervore patriottico fino alla improvvisa morte avvenuta nel 1861 non si rivela mai separato dalla ricerca medica, pubblicando innovativi studi, tra cui Caso grave di vomica polmonare cagionata da podagra retropulsa, Forma patologica di febbre efemera perniciosa colerica, Su una pomata avverso le emorroidi esterne, Sugli effetti di uno sciroppo d’Agave composto, Sull’efficacia dello Stramonio nelle affezioni tifoidee, Disfagia cardiaca curata colla belladonna, Effetti antispasmodici dell’acqua marina, Effetti dell’olio di fegato in laringite ulcerosa, Apoplessia polmonare con polipo nel ventricolo destro del cuore, Riflessioni patologiche sulle febbri tifoidee e sul presunto metodo per curarle col solfato di chinina, ed altri.
Paradossale che due medici patrioti originari di una famiglia maglianese sia stati prontamente assunti come propri dai due paesi di adozione, Veglie e Taviano, i cui amministratori hanno prolungato la loro memoria con l’intitolazione di vie e piazze. A Carmiano e a Magliano invece nulla, trattati come estranei e del tutto ignoti agli studiosi locali e al grande pubblico. E questo la dice lunga sulla cultura della classe politica che ha governato il paese.
Mario Spedicato
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Il 1560 è un anno importante per la storia di Carmiano. Segna una svolta decisiva nelle vicende della piccola comunità salentina. In quell’anno si inaugura la nuova chiesa parrocchiale con una nuova intitolazione, quella di Maria SS. Assunta, che sancisce la definitiva obbedienza alla religione cattolico-romana. L’Assunta nel Mezzogiorno d’Italia assume un chiaro significato simbolico, quello del distacco irreversibile dalla chiesa cristiano-ortodossa di Bisanzio per far parte in maniera esclusiva del mondo cattolico sotto la guida del papato di Roma. La nuova chiesa carmianese, come tante altre nate nello stesso periodo, riassume e porta a compimento un processo di affiliazione cristiana diverso da quello del passato, quando appunto la chiesa d’Oriente resta un punto di riferimento ineludibile per le istituzioni religiose e per il clero salentino. Questo riferimento si interrompe, seguendo una nuova traiettoria istituzionale, quella della chiesa cristiana d’Occidente, disciplinata dall’autorità indiscussa del pontefice romano e dalle normative che vanno maturando con il Concilio di Trento, che chiude i lavori nel 1563.
La nascita nel 1560 della nuova chiesa parrocchiale di Carmiano racchiude due novità non trascurabili. La prima è riconducibile alla partecipazione comunitaria per reperire le risorse economiche necessarie per la costruzione dell’edificio sacro, che da allora resta di patronato comunale e direttamente appannaggio degli ecclesiastici nativi del luogo; il secondo, non meno importante, è l’avvenuta integrazione cattolica dei nuclei domestici di provenienza slava, albanese, greca, giannizzera, ecc. non più nelle condizioni di poter replicare i riti della loro religione ortodossa. Una popolazione, insomma, forzatamente di fede cattolico-romana, ma con un clero ancora refrattario al rigoroso rispetto del celibato sacro, abituato per lungo tempo a convivere con una donna, ovvero “a prendere moglie”, un atto legittimo in quanto consentito dalle norme della religione di Bisanzio.
Ad eccezione dei paesi della Grecia salentina, dove le resistenze al cambiamento durano più a lungo, nelle comunità dell’hinterland leccese l’adesione alla chiesa romana appare diffusa e solida. L’obbedienza papale viene assicurata dalla vigilanza e dalle prescrizioni dell’autorità vescovile, la “longa manus” del potere centrale nella periferia cattolica. Il clero parrocchiale di Carmiano si adegua prontamente al nuovo quadro normativo deciso a Trento, mostrando non solo di riconoscere la gerarchia ecclesiastica espressa da Roma, ma anche di rispettare formalmente le disposizioni conciliari sia sul piano dottrinario sia su quello disciplinare. I due parroci che si avvicendano alla guida della parrocchia carmianese nella seconda metà del Cinquecento, Franco Melcaro e Donato Franco, si applicano con zelo a tradurre l’ortodossia della chiesa cattolico-romana negli atti devozionali più significativi.
Sul piano dottrinario la prima risposta espressa dal clero carmianese contro l’eresia protestante si materializza attraverso l’istituzione nel 1560 della confraternita del SS. Sacramento (associata per acquisire privilegi e indulgenze all’arciconfraternita romana nel 1562) con lo scopo dichiarato di affermare il dogma della transustanziazione negato dai luterani. Il culto dell’Eucaristia si rivela prioritario nella difesa del cattolicesimo romano, affidato ad un’associazione mista di laici ed ecclesiastici che tra i compiti da svolgere vi erano la solenne celebrazione della festa del Corpus Domini e relativa processione, la diligente custodia delle sacre specie nel tabernacolo, l’adorazione dell’Ostia consacrata per 40 ore nel periodo della Quaresima (ultimi tre giorni carnevaleschi), la comunione frequente e  l’accompagnamento del viatico agli infermi. La seconda risposta sul piano dell’ortodossia avviene nel decennio successivo contro la minaccia islamica, che tiene esposto il Salento all’espansionismo ottomano per quasi un secolo dopo il sacco turco di Otranto nel 1480. La vittoriosa battaglia conseguita dalla Lega Santa a Lepanto nel 1571 ha le sue immediate ricadute anche a Carmiano, dove viene fondata la confraternita del Rosario, un culto che si estende a macchia d’olio nell’orbe cattolico per significare lo scampato pericolo dovuto alla protezione della Vergine, che da allora diventa emblema del riscatto cristiano contro l’Islam.
Sul piano disciplinare le novità si concentrano su alcuni fondamentali adempimenti che riguardano il clero parrocchiale e i costumi della popolazione. Sono tutte prescrizioni conciliari che però non trovano rapida applicazione a Carmiano e, in genere, nel Salento, come la mancata formazione del clero nei seminari diocesani (verranno istituiti con quasi due secoli di ritardo) l’osservanza rigida del celibato sacro (mascherata attraverso la presenza domestica della perpetua), l’assolvimento precipuo dei doveri legati all’ufficio religioso (spesso contaminati da altri vili lavori), il venir meno del rispetto ebdomadario delle pratiche di coro e delle messe in suffragio in seguito ad un’accresciuta domanda di servizi religiosi. Un clero insomma inadeguato, non ancora pienamente tridentinizzato e per questa ragione non di specchiata esemplarità per la popolazione locale, che sul piano etico finisce per manifestare i limiti e i difetti propri di un ambiente comunitario chiuso in sé stesso, poco acculturato e non emancipato dai tradizionali culti sincretico-pagani.
La grande novità legata alla nuova chiesa parrocchiale si ritrova nella compilazione da parte dei parroci dei registri anagrafici relativi alle nascite, alle morti e ai matrimoni, un obbligo imposto dal Concilio di Trento per prevenire o evitare contaminazioni ereticali attraverso un controllo capillare della popolazione residente. Nessun membro della comunità poteva sfuggire alla registrazione anagrafica in quanto atti che si compivano in maniera esclusiva in chiesa, dal battesimo che avveniva quasi sempre il giorno stesso della nascita, al matrimonio religioso (unico riconosciuto come giuridicamente legittimo) e, infine, alla morte con la sepoltura in una delle quattro fosse esistenti all’interno dell’edificio sacro. Tra tutti gli adempimenti conciliari quello riconducibile all’anagrafe parrocchiale ha avuto un percorso più lineare, con un’attivazione rapida e una frequenza regolare. I parroci carmianesi in questo particolare compito hanno mostrato zelo, competenza redazionale e disciplina, assicurando un controllo costante del movimento demografico, oltre che un’assidua vigilanza sull’ortodossia cattolico-romana, continuamente minacciata da possibili devianze confessionali e da irregolari comportamenti etici.                        
 Mario Spedicato
 
Nei precedenti interventi:
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Giovedì, 15 Febbraio 2024 20:04

“Le origini di Carmiano” di Mario Spedicato

Vi è una data di nascita di Carmiano? Esiste un periodo in cui il casale acquista una forma precisa di comunità?
Una domanda questa che può avere una risposta attendibile, ancorché non definitiva, se legata alle tracce documentarie superstiti ancora disponibili nei nostri archivi. Dalla consultazione di queste carte appare assodato che Carmiano si è formato come insediamento abitativo permanente nella prima metà del XV secolo e solo da allora ha assunto una sua, propria configurazione identitaria senza mai più perderla. Un recente volume di Silvio Macchia, Carmiano nel tempo (Grifo editore) tuttavia cerca di rimettere in discussione l’origine del paese, anticipando la nascita del casale e fissandola al XIV secolo in base ad una considerazione però fin troppo scontata, quella secondo la quale se esiste un feudatario esiste anche un paese di riferimento. Una trappola in cui non dovremmo facilmente cadere in quanto non può sfuggire ad uno storico avveduto che nel Mezzogiorno durante il Medioevo esistono i feudi abitati e quelli disabitati e il feudo di Carmiano nel XIV secolo è certamente privo di un centro abitato. A meno che non si pensi che la presenza di uno o più insediamenti rurali sparsi possa essere sufficiente per desumere l’esistenza di un casale.
Il feudo, come struttura giuridica e territoriale, è nato nel Mezzogiorno con la dominazione normanna (sec. XI) e da allora ha avuto una storia che ha interessato esclusivamente le campagne senza mai toccare i centri abitati più importanti come nel Salento sono considerati Lecce, Gallipoli, Otranto, ecc. che restano sempre città libere non soggette ad alcuna signoria. Nel Medioevo il trasferimento dei feudi da un barone ad un altro non segna la vita di una comunità ma quella del territorio (spesso) disabitato di riferimento. Se nel periodo angioino (secc. XIII-XIV) il feudo di Carmiano è attribuito a diverse famiglie aristocratiche (De Caniano, Della Marra, Giundaci, ecc.) non significa che la giurisdizione signorile investe un centro abitato, cioè un casale de corpore già formato e ben individuabile. Non è da escludere tuttavia che nella campagna carmianese in quell’epoca ci possa essere qualche insediamento isolato, riconducibile ad una presenza umana in masserie o in strutture armentizie ed in altre di natura artigianale (per esempio fornaci per lavorazione della terracotta, dei metalli o di simile) per alimentare il mercato cittadino di Lecce, ma questo non comporta l’esistenza di un centro abitato con un proprio e riconosciuto ordinamento amministrativo.   
L’inganno viene alimentato dalla diffusione del toponimo carmianensis preceduto da saltus che nel Medioevo connota un vasto territorio oggi identificabile con la valle della cupa, una depressione che abbraccia un insieme di paesi destinati ad occupare in via progressiva un’area a forte permeabilità acquifera, aperta a cicliche inondazioni che rendono problematici gli insediamenti abitativi senza preventivi lavori di drenaggio. A questo dato se ne aggiunge un altro che per Carmiano non è trascurabile. Il feudo sin dal XIII secolo è a forte prevalenza boschiva, configurandosi come una sorta di appendice della foresta di Oria, la cui vivibilità non è solo limitata dalla scarsità di terre da mettere a coltura, ma anche dalla infestazione di lupi, che costituiscono una minaccia permanente per i raccolti se il governatore militare della città capoluogo è costretto a fissare una taglia in denaro per contenere la loro moltiplicazione. Ciò scoraggia l’insediamento umano permanente per renderlo praticabile solo nel primo Quattrocento quando si avvia un progressivo disboscamento del territorio accompagnato da un ineludibile sterminio dei lupi, spingendo gli animali superstiti ad allontanarsi e a riparare nella zona macchiosa dell’Arneo.
Per queste ragioni il territorio di Carmiano può ospitare un agglomerato duraturo di abitanti dal primo Quattrocento e non prima. Del resto il termine casale che accompagna Carmiano negli atti amministrativi si rivela solido solo nel periodo aragonese, a partire cioè dalla seconda metà del secolo XV in poi. La ricerca di Silvio Macchia torna di grande utilità per conoscere il territorio di Carmiano attraverso la toponomastica rurale, le cui tracce consentono di ricostruire la storia del territorio nei suoi aspetti più remoti. Prevalgono sul piano delle conoscenze storiche i toponimi di origine romana e bizantina. Il termine ager Carmianensis  (è irrilevante legarlo al centurione romano Carminius o al colore rosso della terra) risale al terzo secolo dopo Cristo, rimandando ad un’occupazione romana del Salento, mentre altri toponimi richiamano la lunga dominazione bizantina che a livello culturale-religioso non si chiude con l’arrivo dei Normanni e il distacco dalla Chiesa di Roma nel 1044, ma continua anche nei secoli successivi, contagiando gran parte delle diocesi, delle parrocchie e del clero ivi incardinato che rimangono per lungo tempo obbedienti a Bisanzio, certamente fino alla caduta di Costantinopoli in mano ottomana nel 1453, ma con strascichi che durano anche dopo, fino al primo Seicento. Carmiano emerge come comunità coesa proprio in concomitanza di questi fatti, per iniziativa della potente famiglia Orsini del Balzo padroni del Principato di Taranto, e in modo particolare della contessa di Lecce e poi regina di Napoli Maria d’Enghien, che affida il nascente casale alla signoria dei Celestini di Santa Croce di Lecce, che restano nella storia i veri e incontrastati fondatori del paese.
 
Mario Spedicato
Published in Attualità
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